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La focaccia genovese con Gino Petrucco e Umberto Curti
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Acciughe
pesce azzurro, il nome deriva da αφύη, poi apiuva infine anciùa. Dette anche alici, le acciughe arrivano nel Mediterraneo attraverso Gibilterra, avvicinandosi alle rive per riprodursi. Si pescano con la lampara o con la rete a cianciolo (circuizione) da marzo a settembre, in particolare dal 24 al 29 giugno. Monterosso (SP) nelle Cinque Terre, dove non a caso sono presidio Slow Food, le “festeggia” per la ricorrenza di San Giovanni Battista. L’abbondanza di alcune battute di pesca e la duttilità che le fa entrare – anche crude o con ricette “fitu faete” - in cento ricette, ha indotto a ribattezzarle in dialetto, affettuosamente, “pane del mare” (o dei marinai). Vanno lavorate il più in fretta possibile, perché come tutti i pesci piccoli si deteriorano celermente.
 
Buridda
la parola è di origine araba (origina anche il provenzale bourride) e allude a un “umido”, detto anche “pesce in tocchetto”, per il quale vengono privilegiati pesci di scoglio e frutti di mare, con qualche crostaceo (cuocere prima i pesci più grossi). Si serve calda in ciotole con pane abbrustolito ma non troppo. Era piatto unico, da osterie di caravana (i camalli del porto).
 
Canestrelli
Canestrelli sorta di frollini tondi, anche bucati al centro.
Torriglia (GE), in alta Val Trebbia è forse la capitale dei canestrelli, cui dedica una sagra. Si tratta di un biscotto della più antica e classica pasticceria secca ligure (si mangiava a Pasqua).
La “bella di Torriglia”, che ricorre in molti detti popolari, è invece una torta di pasta di mandorle, anche armelline, legata ad antiche leggende della zona, relative ad un’avvenente fanciulla che tutti corteggiavano…ma poi nessuno sposava
 
Cappon magro
monumentale trionfo della cucina ligure di mare e d’orto, il cappon magro (piatto in origine quaresimale, lo rivela il nome) non è un’insalata, ma un perfetto mosaico a strati di pesci, crostacei, mitili, verdure, uova, legati dalla salsa verde o – meno fastosamente – da olio, aceto e limone. Origina dalle capponadde e dai capun galera di bordo, diffusisi subito lungo il litorale di Camogli (GE) e nell’imperiese.. Le verdure, da cuocersi ognuna separatamente, danno colore, così come ostriche, olive ecc. sono decorative. Le gallette vanno bagnate in aceto e vino bianco. Si abbina egregiamente (malgrado aceto e talora limone) ad un DOC Golfo del Tigullio Vermentino.
 
Castagnaccio
a base di farina di castagne, è un dolce molto apprezzato anche in Toscana ed in Emilia. Impasto di farina di castagne, acqua e olio d’oliva, spessore max 2 cm, va in forno circa 35 minuti a 180°. Può completarsi con pinoli, uvetta, noci, scorze d’arancia candite, rosmarino. Si abbina a un DOC Golfo del Tigullio moscato.
 
Cima alla genovese
simile alla poitrine de veau farcie, la cima è un piatto cui perfino Fabrizio De André dedicò nel 1990, album “Le nuvole”, una canzone. Benché esistano della cima numerose varianti (unica costante la presenza di uova e parmigiano reggiano), la ricetta “alla genovese” – assai laboriosa, due carni si rosolano e la punta di vitello si lessa – prevedeva la tettina bovina, come del resto la prevedevano le tomaxelle e i subricchi. La cima, cucita alla sommità, si lessa, meglio se avvolta in un lino, con fuoco medio-forte, ogni tanto si punge, infine si raffredda alcune ore sotto un peso (un tempo era il ferro da stiro in ghisa, o il mortaio di marmo) e si affetta. Un DOC Riviera ligure di ponente Rossese può rappresentare l’opzione giusta nel bicchiere.
 
Cobeletti (gobeletti)
significa piccoli cappelli. L’impasto è molto veloce, altrimenti la pasta frolla “brucia”, non sta insieme. Lo spessore è medio, e non si deve eccedere con la confettura d’albicocche (a ponente marmellata di chinotti), che poi in forno rischierebbe di fuoriuscire. I cobeletti con confetture di frutti rossi si sposano bene ad un DOC Pornassio passito, con altre confetture con un DOC Cinque Terre Sciacchetrà (passito).
 
Coniglio alla ligure
Stufato alla ligure, detto anche alla carlona (cioè rapido, con gli ingredienti che càpitano, da Carlo Magno re Carlone), il coniglio cuoce a pezzi in ottimi olio e vino bianco secco – alcuni preferiscono il Rossese - , con accompagnamento di aglio, cipolla, olive nere (taggiasche) in salamoia, pinoli, erbe… Si rosola rapidamente e ben asciutto, intanto – al modo antico - col fegato si prepara un soffritto e sempre a parte anche un brodo vegetale. Le 3 preparazioni si uniranno per una cottura totale di circa un’ora. Abbinare un DOC Val Polcevera rosso.
 
Corzetti
tipici ad esempio di Campomorone (GE) in Val Polcevera e del Levante genovese, antichissimi, si condiscono magnificamente con la salsa di pinoli (la più recente fra le salse da mortaio) o, finanze un tempo permettendo, con sugo d’arrosto o di funghi. Hanno la classica forma ad elica, ad “otto”, tirati con le dita, costituivano il piatto del cenone di capodanno col sugo di maiale, nell’impasto entrava talora la persa. La cottura dura 10 minuti. I genovesi doc li mangiano col cucchiaio e li abbinano al DOC Val Polcevera – beninteso bianco se conditi con la salsa/il sugo di pinoli, e rosso se conditi col sugo -
 
Corzetti stampati
rotondi, di circa 4-5 cm di diametro, presentano - incise - immagini e araldiche (stemma di famiglia, stemma del pastaio…), utilizzando “formine” di un legno che non contenga tannini. A Chiavari (GE) c’è ancora un artigiano, Casoni, in grado di realizzare gli arabeschi voluti. Possono impastarsi rossi (col pomodoro), verdi (con gli spinaci)… La sfoglia è spessa 1-2 mm, e quindi cuoce in un paio di minuti al massimo. Si mangiano ovviamente con la forchetta. Varese Ligure (SP) è uno dei luoghi più coerenti per degustarli. In origine si condivano “suolo a suolo” (cioè a strati come le lasagne) col sugo di funghi, i porcini freschi a fette, o le lumache in zimino. Il sugo richiede ad esempio un DOC Dolceacqua, il pesto un DOC Riviera ligure di ponente Pigato, alla giusta temperatura e nei giusti calici
  
Cuculli
piatto arabeggiante, forse il nome richiama i bozzoli del baco da seta, sono quenelle fritte di farina di ceci (o di patate lesse e schiacchiate), aggiungendo lievito di birra. L’impasto si frigge immergendo ogni volta il cucchiaio in abbondante olio caldo, a 175°, per depositarvi la frittella ben sgrumata. Si mangiano asciugate nella cartapaglia, splendido finger food. A ponente, accompagnano spesso l’agnello impanato o al forno. Chiedono vini bianchi fermi (benché vi sia chi abbina i frizzanti), serviti a 11-12 gradi in calici a stelo alto. Recita l’enigmatica filastrocca: “L’è a rionda di cuculli, che a mamà a l’ha rotto i tondi, a l’ha rotti reccamae, cinque sodi ghe son costae”
  
Farinata di ceci
antichissima, era detta “l’oro di Genova”. È un piatto semplicissimo e al contempo delizioso, che si consumava per il venerdì di magro e il capodanno. Non solo ligure, dato che lo chiamano “calda calda” a Massa, “bella calda” in Piemonte, “cecina” a Pisa/Livorno dove si gustava il cinque-cinque, “socca” a Nice (e “sciocca” sulla Riviera di Levante). Documenti del 1447 svelano inoltre l’antico suo nome di scripilita, dal latino scribilita=sorta di focaccia con formaggio. Un chilo di farina di ceci, 4 litri d’acqua, sale grosso e un bell’extravergine dolce sono le proporzioni degli ingredienti. L’impasto liquido andrà schiumato affinché cocendo non annerisca. La cottura, in tegami di rame stagnato, richiede 15 minuti in forno a legna (d’olivo), fuoco sopra. Nei secoli, ci si è poi sbizzarriti con varianti che prevedono i bianchetti, le cipolle e il pepe, i carciofi, la salsiccia, il rosmarino… I genovesi la amano d’orlo, e non di rado l’accompagnano con un bianco di Coronata.
 
Focaccia col formaggio di Recco (GE)
anche primo piatto, è una delizia che un tempo si preparava il 2 novembre – probabilmente con formaggi ovini e sulla ciappa. Secondo il guru americano Fred Plotkin, che della Liguria ha esplorato e descritto il meglio, è così buona che “dà dipendenza”. Realizzata con la mollana vaccina fresca (della limitrofa Sori e d’altrove), si abbina a un DOC Golfo del Tigullio Bianchetta oppure un DOC Cinque Terre bianco
 
Frisceu
“bocce, frisceu e vermentin, e da vitt-a battitene u belin”. Mezzo litro d’acqua e farina q.b. sono gli ingredienti (farine e umidità creano densità d’impasto diverse, l’esperienza e l’occhio consentono di ottimizzarle). Il lievito entra nella pastella. Nel caso dei frisceu di baccalà, adorati anche a Roma, è importante lasciare la pelle ma desquamare il pesce, realizzando scaloppe di circa 5 cm per lato. Friggeranno in olio bollente e li mangerai immediatamente. Piatto da sciamadde. Nel bicchiere, un DOC Val Polcevera Bianchetta.
 
Lasagne/picagge
lasagna deriva da losanga (laganum), per via della forma rettangolare-romboidale. Sono antichissime (a Bologna v’è un documento notarile risalente al 1282), larghe, e lunghe in genere 10-15 cm, dall’Ottocento piatto festoso. Le picagge sono viceversa fettuccine larghe circa 1-2-3 cm. Verdi se con maggiorana, matte se con farina di castagne, avvantaggiate se con farina integrale, le lasagne e le picagge si riconoscono come fatte a macchina se il bordo è ondulato.
 
Lattughe ripiene
la parola lattuga deriva da lac (latte) per l’umore contenuto dalle foglie. Piatto settecentesco e squisitamente da periodo pasquale. S’accompagna ad un DOC Pornassio Sciac-trà (rosato) o ad un DOC Riviera ligure di ponente Rossese. Sono previste anche una versione con salsiccia, una di magro ed una coi piselli; si noti che questi ripieni sono più o meno anche quelli dei maccheroni detti maniche di frate
 
Minestrone alla genovese
Era la ghiottoneria con cui i catrai (trattorie galleggianti su chiatte) affiancavano le navi all’àncora nel porto di Genova. Il segreto consiste, durante la lunga cottura delle molte verdure nell’acqua, nello schiacciarne via via una parte aiutandosi con schiumarola e cucchiaio, parte che ritorna in pentola “passata”, come addensante naturale, insaporendo il minestrone. Alla fine si può aggiungere pesto senza pinoli. Abbina sempre un Vermentino (ma a ponente scelgono Pornassio).
 
Panissa
cibo di Sottoripa (portici antistanti il porto di Genova), anticamente quaresimale, non vincola ad una ricetta unica. Un litro d’acqua e 3 etti di farina di ceci sono gli ingredienti (4 etti nel caso dei cuculli). L’impasto riposa varie ore, poi si cuoce come una polentina (ottimamente a bagnomaria). Si pone nuovamente a riposo in fondine unte d’olio. Dopo la frittura, s’asciuga tamponando con carta assorbente. L’olio abbondante mantiene alta la temperatura e il fritto risulta ben croccante, non intriso.
  
Pansoti
tipicità del Golfo Paradiso (Bogliasco, Pieve Ligure, Sori, Recco) limitrofo a Genova, si condiscono con la salsa di noci, frutto delizioso che ci giunge da Persia e Balcani, preparata nel mortaio come il pesto – aglio, persa, pinoli, noci, mollica nel latte, parmigiano, sale, olio - . Il loro nome significa “panciuti”. Ben gonfi, la pasta tagliata quadra 6 cm per lato viene riempita di magro, con ricotta (un tempo prescinseua) e fresche erbette locali – sei ad un passo dal monte di Portofino… - dette “preboggiòn”, legate con parmigiano grattugiato. Si abbinano ad esempio al Pigato o al Vermentino.
 
Ravioli di carne (o di magro) col tocco
I ravioli genovesi, a differenza di molti altri, impiegano vitella magra ma anche frattaglie, e nell’impasto entrano pochissime uova. Tocco è il pezzo di carne, che cuoce più di 3 ore a fuoco lento, donde il sugo Un DOC Riviera ligure di ponente Rossese è valida scelta. Esiste anche una ricetta autografa del violinista Niccolò Paganini, 1840
 
Salame di Sant’Olcese (GE)
in Italia si producono eccellenti salumi, assai diversi tra loro, ma sovente accomunati dall’impiego quasi esclusivo del maiale come materia prima. Il salame di S. Olcese (GE), è dall’800 la celeberrima tipicità della Valpolcevera, valle purcifera (e vicina a vie del sale), benché la carne giunga in gran parte dal Piemonte. A differenza di tanti altri, è composto in parti quasi uguali di carni suina e bovina macinate. A grana grossa (con sale, pepe nero, aglio, aromi…), viene snervato, legato a mano in budelli naturali ed essiccato alcuni giorni al calore di un energico fuoco di legna forte, ad es. quercia, trattamento che gli conferisce un leggero aroma di affumicato. Preparato in dicembre, stagiona 3 mesi (ma, assecondando la domanda, i tempi van diminuendo) e in primavera si accompagna tradizionalmente a fave e pecorino sardo fresco, componendo i menu gustosi di tante sagre locali. Si raccomanda di tagliarlo a fette un po’ spesse e di servirlo a temperatura ambiente. Non ama l’invecchiamento, perché la componente bovina s’asciuga.
La mostardella è invece una variante “povera” e nervosa, grossolana, ottenuta da carni e grasso di suino e bovino conciate e insaccate nel budello naturale. Viene consumata fresca, scottata in padella (anticamente su stufe), deliziosa nelle sue sfumature di gusto che talora arricchiscono anche i sughi di carne. Sul territorio si producono anche alcune salsicce, coppe e bresaole
 
Stoccafisso accomodato
la parola stoccafisso (merluzzo essiccato all’aria, liofilizzato) è calco dell’olandese stocvisch = pesce bastone, in norvegese il significato è pesce delle rocce. A Genova (ma anche presso le spezzine Lerici e Portovenere) lo stoccafisso rappresenta da secoli un delirio di massa, per le qualità della carne, i valori organolettici, la duttilità d’impiego. Lo stocche va ammollato per una ventina di minuti in acqua bollente, con una goccia d’aceto. La cottura complessiva è di circa 1-2 ore, moderando l’aggiunta di acciughe salate che, cocendo troppo, darebbero una sgradevole nota amara. Al confine col Piemonte s’accompagna polenta. La ricetta chiede, per via del pomodoro, un DOC Riviera ligure di ponente Rossese.
  
Tomaxelle
che la parola derivi da tomaculum = salsicciotto oppure da tomex = cordino per legare, questa è una delle glorie più antiche della cucina ligure e genovese. Profumati e gustosi involtini di vitella battuta, legati e infilzati, grandi chef e gastronomi le hanno continuamente riscoperte ed interpretate accompagnandole di solito con un DOC Dolceacqua
 
Torta Pasqualina
detta cappuccina se di sole biete (giaee), e nobile se con carciofi – affettati e insaporiti - al posto delle biete, è ricetta antica La Pasqualina, come la torta di riso, appartiene a quelle “gattafure” menzionate nei ricettari cinquecenteschi. La torta, coreografica grazie anche alle uova intiere scocciate “in vista” nelle goghe, cuoce in forno a 170° per almeno 40 minuti, fuoco alto sopra e sotto. Le uova simboleggiano il cerchio solare. Bucherai all’inizio la crosta superiore per controllare, ed evitare scoppiettii. Poi assaggerai l’orlo, il piccolo orecchio (oexin), per stabilire se il capolavoro è riuscito. Sulle pasqualine si incidevano un tempo le iniziali del capofamiglia… Da abbianare a un DOC Val Polcevera Vermentino.
 
Trippe accomodate
piatto medievale (nella zona di Soziglia il primo macello risale al 1152), le trippe sono i prestomaci e talora lo stomaco dei ruminanti da macello. Come del resto i ripieni a base di frattaglie (ravioli, lattughe, cima…), l’ingegnosità che valorizzò le trippe si deve all’assenza della catena del freddo, che imponeva di consumare in fretta gli alimenti, pulendo e lessando, a maggior ragione quelli più a rischio di deperire. Con le trippe accomodate verserai un DOC Dolceacqua.
  
Verdure ripiene
le verdure, principalmente zucchine, peperoni a partire dal tardo ‘800, melanzane, cipolle, talora patate o cardi si sbollentano, già scavate internamente, per 5 minuti. Se nella ricca farcia si utilizza la vitella, essa va soffritta rapidamente. I ripieni entrano poi in forno, su una teglia unta, a 180° per 20 minuti. Ottimo, sempre, un IGT Colline Savonesi Lumassina, al limite anche frizzante, onde “sgrassare” la bocca dall’inevitabile untuosità del piatto.
 
Zembi con l’arzillo
sono ravioloni di pesce bianco, conditi con sughi di mare al pomodoro. Zembi non significa gobbi, ma deriva dall’arabo zembil alludendo ai canestri di palme attorcigliate per il trasporto del pesce. Arzillo è viceversa – vedi il vocabolario del Frisoni - l’odore pungente che s’annusa in riva al mare, fra scogli dove prospera l’alga verda, la lattuga marina. La ricetta è nel complesso alquanto laboriosa (per via della farcia) e prelibatissima, chiede un bianco delle Cinque Terre o di Levanto
 
 
Testo di Umberto Curti, Ligucibario
 

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